Mostriamo all’Italia che l’alternativa è possibile
Intervista al presidente di Demo, la fondazione del Pd: “Se le opposizioni si uniscono con programmi chiari e candidati autorevoli si torna a essere competitivi. Vale per Sardegna e Abruzzo”
ROMA — Nicola Zingaretti è alle prese con una iniziativa che sembra fuori tema rispetto alle contingenze della politica: «Insieme alla segretaria, oggi discuteremo di Intelligenza artificiale. Noi vogliamo che le innovazioni, AI compresa, siano messe al servizio delle persone e non usate per nuove forme di sfruttamento e crescita delle diseguaglianze». Una sfida avvincente per il presidente di Demo, la Fondazione del Pd: «Si avverte un gran bisogno di luoghi dove riflettere insieme sul futuro», dice. «In pochi mesi abbiamo avviato i forum su politiche industriali e modelli di welfare, guardando alla crisi demografica, presto produrremo uno studio sulle politiche fiscali per creare più giustizia sociale. Lavoriamo per rafforzare una comunità e una cultura progressista e aperta».
Intanto le elezioni incombono. Alessandra Todde, candidata giallorossa in Sardegna, ha detto che domenica può iniziare la resistenza al governo. È d’accordo?
«Quel voto riguarda in primo luogo i sardi, dopo anni di pessima gestione della regione. La sanità è allo sfascio, la continuità territoriale ostaggio di monopoli che hanno reso i cittadini prigionieri dell’isola. Perché bisognerebbe rivotare i responsabili di questo disastro? Politicamente è l’ennesima conferma che quando le opposizioni si uniscono su candidature autorevoli e programmi chiari si torna ad essere competitivi. Vale anche per l’Abruzzo, dove l’alleanza è ancora più larga».
Che cosa succede se il centrodestra perde?
«Il centrodestra che abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni non esiste più. Quel modello è finito con l’elezione di Meloni e la scomparsa di Berlusconi, che lo aveva inventato. L’Italia è guidata da un cartello di forze nazionaliste in competizione perenne, che trova identità nella gestione del potere e negli estremismi ideologici. Una sconfitta alla prossima tornata elettorale rappresenterebbe una prima battuta d’arresto della maggioranza pro tempore, già attraversata da forti tensioni. Perciò è fondamentale la ricomposizione del nostro campo».
Crede che le difficoltà di Salvini faranno entrare in crisi il governo?
«Il tema non è questo, ma il prezzo che stanno facendo pagare all’Italia per mantenere in piedi la coalizione, malgrado le divisioni. È uno scambio continuo, guardate cosa stanno combinando sulle riforme: il baratto indecente fra l’autonomia e il premierato che spacca l’Italia e scassa gli equilibri istituzionali. Ciò che li tiene insieme è l’odio sociale contro chi fa più fatica: riduzione delle politiche di inclusione, tagli alla spesa reale nella sanità e nei trasferimenti a Comuni e Regioni che si trasformeranno in un taglio all’offerta dei servizi, opposizione al salario minimo. La destra è una macchina di produzione di “figure deboli” alle quali offrire poi protezione con le mance politiche».
Il centrosinistra però non sembra pronto. Fra Pd e 5S siamo ancora alle prove tecniche di alleanza, perché è così difficile accordarsi?
«Ma il processo politico si è rimesso in moto, la situazione è diversa rispetto a pochi mesi fa. Schlein ha avuto il coraggio e la coerenza di aprire una fase nuova. Per vincere servono pazienza, contenuti e scelte che rendano vera e percepita la presenza di un’alternativa costruita per stare accanto alle persone, ai loro bisogni e speranze. Occorre avanzare una proposta su temi concreti, basata su cultura e vocazione unitaria: competitività e giustizia sociale devono stare insieme, così come sostenibilità e sviluppo. È difficile perché nel centrosinistra, malgrado i sistemi maggioritari, sopravvivono conventicole del “meglio pochi ma buoni” per poi, quando vince Meloni, addossare la colpa al Pd».
Con chi ce l’ha: Calenda? Conte?
«Il fatto è che la destra litiga ma resta unita, il nostro campo per avere visibilità si frantuma. Serve un salto di qualità verso la riscoperta di un “noi” nelle reciproche differenze. È quale che ci chiede gran parte del Paese. Anche perché i distinguo non aiutano a convincere gli scettici e chi oggi si astiene».
Il campo dell’alternativa ha tuttavia bisogno di un leader: Conte è ancora il punto di riferimento fortissimo o tocca a Schlein?
«Io non credo sia adesso il momento di parlarne. Come provano le tante intese siglate nei territori, il centrosinistra sta attraversando una fase molto positiva, che abbiamo tutti il dovere di tutelare. Grazie alla consapevolezza della pericolosità della destra e la condivisione di tante battaglie politiche ed elettorali, le forze progressiste si sono ritrovate. Io mi sono sempre battuto per questo. Andiamo avanti, mostriamo all’Italia che l’alternativa c’è: dev’essere solo consolidata. Ci sarà tempo per discutere su come organizzarci e guidare questo processo»
Intervista pubblicata su Repubblica il 22 Febbraio 2024