
Il problema non è l’Europa, ma i nazionalismi che fortissimi la condizionano
Intervista La Repubblica 17.03.25
La magnifica piazza convocata da Michele Serra è una sveglia per tutti», dice l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti, capodelegazione al Parlamento Ue. Che messaggio arriva dai 50mila di Piazza del Popolo?
«La necessità e l’urgenza di mobilitarsi. La democrazia, come la pace, non sono conquiste acquisite una volta per tutte, ma valori per i quali bisogna combattere ogni giorno, contro le spinte degli autocrati che mirano a cancellarli. Per dirla con Calamandrei “la libertà è come l’aria, ti accorgi della sua importanza quando inizia a mancare”. In questo senso, la partecipazione popolare è fondamentale: ora più che mai».
Una mobilitazione che le forze politiche non sanno più suscitare?
«I cittadini che si sono ritrovati in quella piazza, animata da molte voci differenti, sono lo specchio fedele dell’Europa che recita: “Uniti nella diversità”. Spetta ora alla bella politica il coraggio di produrre una sintesi. Ci vuole rispetto, ascolto, visione e un indirizzo chiaro».
Indirizzo che, sul piano di riarmo, al Pd è mancato: vi siete spaccati.
«In parte è il riflesso del pluralismo interno, ma evitiamo confusioni. Noi lavoriamo tutti per la difesa comune europea e infatti nessuno del Pd ha votato contro una risoluzione a mio giudizio sbagliata, che noi abbiamo contribuito a migliorare. Non vogliamo fermare l’Europa come chi ha votato no, vogliamo cambiarla verso una maggiore integrazione, valorizzando progetti e investimenti congiunti. Siamo parte attiva nel Pse e in Parlamento, con una nostra autonomia».
Quindi il Pd non è isolato?
«Ricordo che noi, a differenza dei socialisti francesi e di metà Spd, votammo a favore di von der Leyen: se il giorno dell’insediamento di Trump ci fossimo ritrovati senza Commissione Ue, l’immobiliarista eletto alla Casa Bianca i palazzi delle istituzioni a Bruxelles li avrebbe comprati per farci alberghi di lusso! Col senno di poi, credo che avessimo ragione noi. Ma ciò non ci impedisce di lavorare insieme».
Mercoledì alla Camera si vota una risoluzione che parlerà anche di armi: il Pd si dividerà di nuovo?
«Mi auguro e penso di no. Ci sono tutte le condizioni, politiche e di merito, per non dividersi. Anche la piazza di sabato ce lo chiede. Piuttosto assisteremo alle contorsioni di un governo senza una linea in politica estera”.
Elly Schlein in piazza è stata accolta con calore. Se lo aspettava?
«Sì. È la conferma della forza della sua leadership e il riconoscimento che a due anni dalle primarie il Pd è vivo, è tornato protagonista. Qualsiasi ipotesi per l’organizzazione di una alternativa passa dal ruolo del nostro partito: dopo le elezioni del 2022 non era così. Io ho avvertito anche la richiesta di far prevalere lo spirito unitario sia nella vita interna che nel rapporto con gli alleati».
Un’esigenza che sentite solo voi. Conte in piazza non c’era. Perché?
«Dovete chiederlo a lui. Secondo me ha fatto un errore. Ascoltare le opinioni altrui — anche in contrasto con la tua — e offrire una visione comune è il compito della politica. Non si può chiedere unità solo intorno alla proprie idee. Chi crede nell’Europa sabato doveva essere lì, sotto quelle bandiere».
La politica estera è però un tema dirimente: anche dentro il Pd non solo per le alleanze. Farete un congresso per stabilire la linea?
«Non so davvero con quali modalità , ma certo serve una riflessione collettiva su come stare dentro un tornante dello Storia del tutto inedito. L’Europa nasce come risposta ai nazionalismi, che sono diventati fortissimi e vogliono annientarla, non cambiarla. Dopo la bocciatura della Costituzione europea, c’è stato un processo più segnato dall’allargamento che non dall’integrazione. E a risentirne è stato lo spirito federalista. Perciò occorre una svolta coraggiosa, sperimentando forme nuove di collaborazione tra gruppi di Paesi, non aspettando che si muovano tutti i 27».
L’ondeggiare di Giorgia Meloni tra Trump e von der Leyen, i contrasti nel governo sull’Europa, indeboliscono l’Italia?
«È questo il vero problema! Non il Pd. Per colpa della destra l’Italia è la grande assente sullo scenario internazionale. Il manifesto di Ventotene è stato scritto da grandi connazionali come Spinelli, l’artefice dei patti di Roma fu De Gasperi, l’euro si deve a Ciampi, l’allargamento a Prodi… Ora l’Italia è associata a Trump, che frena non spinge. Altro che pontieri, stiamo diventando complici del sabotaggio dell’Europa, della sua volontà di reagire. La nazione, di cui Meloni si riempie la bocca, è un illusorio “rifugio” dove attendere tempi migliori, ma senza una Ue unita questi tempi non arriveranno mai».
Ma con le opposizioni tanto litigiose, la maggioranza non ha buon gioco a far deragliare l’Italia?
«Credo che i cittadini comincino a rendersi conto della pericolosità, dell’inadeguatezza di questa destra. Con il Pnrr, grazie al centrosinistra, sono arrivati decine di miliardi per ospedali, scuole, innovazione, infrastrutture. Da quando sono al governo non si sa che fine abbiano fatto. Va chiesto con forza perché ne va della nostra credibilità. È il senso della battaglia che stiamo conducendo a Bruxelles come a Roma. E non arretreremo di un millimetro, anche a costo di fare compromessi. Dobbiamo metterci insieme per impedire ai nazionalisti di impadronirsi dell’unico strumento che abbiamo per salvarci: un’Europa libera e unita».