Anche in Europa la destra critica ma non sa assumersi responsabilità

L’ex segretario del Pd, ora capodelegazione dem a Strasburgo: «La destra non sa assumersi oneri e fatica nella Ue. Non non ha una proposta di futuro, vive di nostalgie del passato e demagogia»

Nicola Zingaretti, lei è stato appena eletto capodelegazione del Pd al Parlamento europeo, perché a suo giudizio la maggioranza di governo non ha ottenuto granché in termini di commissioni e ruoli chiave?
«La destra italiana è efficace come forza di opposizione ma ha difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità come forza di governo. Rappresentano e cavalcano i problemi ma non li risolvono. Anche a Bruxelles in fondo è accaduto questo. Lo hanno capito tutti e, insieme alle divisioni in diversi gruppi, questo ha inciso molto».

La destra accusa voi di aver cercato di azzoppare i suoi candidati.
«Appunto è una conferma di quanto le ho detto: non si assumono mai la responsabilità dei propri comportamenti e cercano capri espiatori. Chi crede nell’Europa oggi deve impegnarsi per cambiarla. Oggi in Europa si crea poca ricchezza rispetto ai livelli di crescita di altri angoli del mondo e si ha bisogno di investimenti e competitività, si distribuisce male creando disuguaglianze e si ha bisogno di nuove strategie di inclusione sociale, si produce male e si ha bisogno di Green deal. L’Europa è un nano politico e ha bisogno di politica estera e difesa comune. Ma qui è la differenza, la destra non è credibile perché di fronte ai limiti dice distruggiamo tutto, noi diciamo cambiamo perché i problemi non vanno usati ma risolti».

C’è chi sostiene che se Meloni avesse annunciato il suo sì a Ursula von der Leyen ci sarebbero stati molti più franchi tiratori.
«Ursula von der Leyen ha ottenuto i voti di un’ampia maggioranza proprio perché ha proposto una piattaforma di chiaro stampo europeista. Attenta alla competitività, alla necessità di investire e ai temi dell’inclusione sociale e della green economy. Tutti impegni da verificare ma con un chiaro indirizzo che credo sia corretto. È proprio questo impianto che la destra ha rifiutato. Invece questo sforzo va sostenuto e incoraggiato».

Teme l’isolamento dell’Italia?
«Dobbiamo impegnarci affinché non ci sia e il Pd sta facendo la sua parte perché l’interesse nazionale e lo sviluppo dell’Europa coincidono. Quello che è certo è che lo slogan “con Giorgia, l’Italia cambia l’Europa” ha fallito. Per non parlare di “più Italia meno Europa” della Lega che più che un auspicio considero una minaccia, perché si augura addirittura l’isolamento. La verità è che questa destra non ha una proposta di futuro, vive di nostalgie del passato e demagogia».

A proposito dell’Italia, si torna a parlare campo largo. Lei fu il primo a teorizzarlo.
«Sì, sono ovviamente contento ma anche io invito a uscire dalle formule. Il dato è che si sta finalmente affermando uno spirito unitario e i motivi sono chiari. Una crisi sociale drammatica con milioni di persone che si sentono sole, chiedono sicurezza e speranza e stanno perdendo la fiducia nella democrazia. E in secondo luogo cresce la consapevolezza del pericolo di una destra che di fatto vuole sostituire un modello di regole e diritti che è alla base della Costituzione. Questo rende la costruzione dell’alternativa non solo un obiettivo ma un dovere democratico. Elly Schlein ha il merito di averlo compreso prima di altri e ha collocato il Pd nel modo corretto come la forza che più incarna questa esigenza. Contenuti chiari e vocazione unitaria».

C’è un dibattito sulla svolta di RenziGiuseppe Conte non lo vuole nell’alleanza. Lei si fida di lui?
«D’istinto mi verrebbe da rinfacciare “quanto tempo ci hai fatto perdere” ma alla fine in me prevale invece la responsabilità e dico: è una buona notizia. In gioco c’è il futuro della democrazia. Poi è ovvio che la credibilità di un progetto di alternativa si basa su contenuti, visione chiara, condivisa, e coerenza. Va tutto costruito, è un processo che sarà lungo e difficile e dovrà essere popolare, ma i veti a prescindere erano sbagliati prima e lo sarebbero ora».

E Conte, che con voi va a fasi alterne, è un alleato affidabile?
«Oggi l’alleanza non esiste, è un processo agli inizi e le posizioni che lei cita sono figlie di una fase storica dove ci si illudeva che i continui distinguo identitari rappresentassero una forza, poi ci siamo ritrovati Giorgia Meloni con una maggioranza parlamentare e una minoranza di elettori. Ripeto non do pagelle. Ma se l’obiettivo comune è l’alternativa, le forze più coerenti come il Pd vengono premiate, altre meno. Ma come dice spesso Elly, basta con i veti a prescindere e costruiamo un progetto di alternativa credibile».

Matteo Renzi sostiene che la candidata o il candidato premier sarà la leader o il leader che prenderà più voti. Quindi Elly Schlein.

«Veramente non lo sostiene solo Renzi, è la prassi usata nelle alleanze negli anni. Ma non si comincia da qui, dai nomi. Bisogna insistere sulla costruzione di una agenda condivisa per fare una proposta di governo all’intero Paese. Noi ci rivolgiamo all’Italia quando parliamo di investimenti del Pnrr, lotta alle disuguaglianze, sanità pubblica, diritto allo studio, competitività del sistema produttivo. Quando sotto il tricolore raccogliamo le firme insieme contro i rischi di secessione dello sfascia-Italia».

Intervista pubblicata su Il Corriere della Sera il 25 Luglio 2024