Il dovere dell’alternativa

La conferma definitiva è arrivata ieri: con 21 parlamentari, il Pd sarà la prima delegazione del gruppo dei Socialisti e democratici. «Una grande responsabilità: chi ama l’Europa oggi deve spingere per cambiarla», predica Nicola Zingaretti, neoeletto con oltre 130mila preferenze e possibile capogruppo a Bruxelles.

È così, Zingaretti, guiderà lei il gruppo?

«Venerdì abbiamo fatto una bellissima riunione con la segretaria, che ha giustamente avocato a sé la responsabilità di chiudere il quadro degli assetti europei. Qualsiasi cosa si deciderà, per me andrà bene».

Dice che dovete spingere per cambiare l’Europa, ma come?

«Dobbiamo aprire una grande stagione di riforme, a cominciare dal rimettere in discussione il diritto di veto, e lavorare per un salto in avanti delle politiche comuni, a partire da politica estera e di difesa. L’Europa si rifonda se torna a darsi l’obiettivo di difendere le persone: nei grandi scenari geopolitici e nel quotidiano. Il contrario di quello che dicono le destre nazionaliste».

Che però hanno vinto, in Italia e in Europa.

«Farei una differenza tra l’Italia e l’Europa. Qui si è ridotto parecchio il divario tra noi e Fratelli d’Italia e, posto che tutti i voti sono importanti, è bello sapere che abbiamo recuperato nel non voto e nel voto giovanile».

Avete ridotto la distanza, ma per essere competitivi dovreste fare un fronte comune delle opposizioni, no?

«A me lo dice? (ride) Questo significa infierire: me ne sono andato dalla segreteria anche su questo argomento…».

Ora torna più che mai d’attualità.

«Grazie a Elly Schlein abbiamo ottenuto un ottimo risultato, perché il partito ha fatto scelte chiare con spirito unitario, anche di fronte alle provocazioni. Abbiamo finalmente un’agenda del Pd fatta di sanità pubblica, politiche industriali, diritto allo studio e a un lavoro dignitoso, ma senza avere un approccio settario».

Anche di fronte alle provocazioni? Pensa alle frecciate di Conte sul Pd partito bellicista o i pacifisti della domenica?

«Pensiamo a parlare al Paese. E come s’è visto gli elettori premiano le forze più unitarie che mettono al primo posto il bene comune».

Le elezioni sono andate bene per voi e Avs, male per il M5S e l’ex Terzo Polo. È un risultato che complica o semplifica il famoso campo largo?

«Dobbiamo rispettare con la stessa tensione unitaria di sempre il dibattito che si sta aprendo nei nostri possibili alleati. Ma c’è una novità».

Quale?

«Pensare all’alternativa non è più solo una scelta, ma un dovere. Questo faciliterà di molto il lavoro di tutti e tutte».

Finora ne è sembrato più convinto il Pd degli altri. È sicuro che ora si siano convinti tutti, a partire dal M5S?

«Credo che dobbiamo cambiare fase, e Elly lo ha detto chiaramente: dobbiamo aprire una stagione di condivisione di un programma, con uno sforzo collettivo della politica e non solo. Guardiamo al futuro, non a recriminazioni e sgambetti».

Dopo questo voto gli altri riconosceranno a Schlein un ruolo di leadership?

«La leadership si conquista portando avanti con coerenza un progetto. Mi sembra che Schlein sia sulla strada giusta».

Cosa ci dev’essere in un programma comune delle opposizioni?

«Il processo è già iniziato dalla raccolta firme sul salario minimo. Poi la difesa del diritto alla salute. E martedì ci troveremo in piazza a difesa della Costituzione. La destra sta facendo un’alleanza sulle rendite, con i furbi e i nostalgici. Noi dobbiamo farla sul lavoro, con i ceti produttivi più innovativi e la cultura. Con un grande protagonismo di donne e giovani».

Martedì sarete in piazza dopo l’aggressione a Donno di mercoledì scorso alla Camera. La premier Meloni ha letto quanto accaduto come l’errore di alcuni parlamentari di maggioranza caduti nelle provocazioni delle opposizioni.

«L’unico che è caduto quel giorno è un parlamentare d’opposizione, aggredito con violenza da parlamentari della destra. E l’atto osceno di un leghista che mima la Decima Mas non mi sembra la caduta in una provocazione, ma piuttosto l’ostentazione di arroganza rispetto a valori che tutti dovremmo condividere. Se avessero vinto la guerra i fascisti della Decima Mas, il Parlamento e le elezioni che lo hanno eletto non ci sarebbero mai stati».

Parafrasa quello che disse Foa al missino Pisanò.

«Appunto. Le parole di Meloni non colgono la gravità di una situazione che temo le stia sfuggendo di mano. La leader di un partito che si chiama Fratelli d’Italia ha una maggioranza parlamentare che diventa violenta davanti al tricolore».

Ha visto l’inchiesta di Fanpage sui giovani di FdI, Gioventù nazionale, tra cori “Duce” e saluti romani?

«Mi ha molto colpito. Mi preoccupa ancora di più che questi due anni di governo abbiano avuto un filo conduttore: l’attacco all’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza dei diritti sociali. Dai tagli al sociale alla sanità, fino all’Autonomia differenziata che è uno sfascia Italia, tutto va letto come un revanscismo che mette in discussione i fondamenti della Costituzione. Il motore della nostra alleanza dev’essere la difesa della Carta che, come disse Calamandrei nel 1955 agli studenti a Milano, “è anzitutto un programma da attuare”: di fronte alle picconate di questa maggioranza, la trovo una frase ancora attuale».

Meloni ha anche parlato di polemica artefatta sull’aborto nelle conclusioni del G7…

«C’è solo una cosa peggiore di chi aggredisce i diritti delle donne: chi lo fa senza assumersene la responsabilità. È il caso della nostra presidente del consiglio».

Ha detto di non voler toccare la legge 194: non basta?

«È evidente che invece un’offensiva c’è. Senza toccarla vuole modificare la sostanza, demolendo l’immenso sostegno culturale che c’è attorno alla 194. Ma noi ci ribelleremo».

Intervista pubblicata su “La Stampa” domenica 16 giugno 2024