Creare giustizia. Per le persone e per la Terra.
Non possiamo “solo” aspettare il congresso. Il dibattito sulla sconfitta elettorale delle forze progressiste deve approdare a una svolta per iniziare a costruire un’alternativa. Va bene la costituente, il cambiamento dei gruppi dirigenti e tutto quello che si sta dicendo. Ma per fare cosa? Attenti al rischio di una danza immobile.
Non si tratta di mettere la polvere sotto il tappeto, però il mondo va avanti e occorre darsi un indirizzo per far capire chi vogliamo rappresentare e riprendere a combattere. Allora cominciamo a dire e schierarci. Per me questo indirizzo, è chiaro: creare giustizia, per le persone e per la Terra. Da qui devono nascere nuove politiche e una mobilitazione popolare che coinvolga milioni di coscienze. È infatti proprio in questa missione mancata, in questo impegno tradito che ritroviamo la vera radice della nostra crisi. Inoltre, l’agenda italiana della destra, al governo da pochi giorni, su questi grandi temi – giustizia sociale e sostenibilità – è drammaticamente vuota. E questo apre spazi grandi di iniziativa politica.
Aumentare il tetto ai contanti per aiutare il riciclaggio di denaro sporco, togliere l’aiuto economico ai poveri, prendersela con dei disperati che fuggono dalla fame, nella sanità favorire i medici no vax mentre i loro colleghi combattevano in trincea, promettere condoni per fare l’occhiolino agli evasori, ma dare fino a 6 anni di carcere a chi partecipa a un concerto, riforma fiscale con la Flat tax che riduce la progressività e aumenta le disuguaglianze. In sottofondo, rimane un’insofferenza antieuropeista che non ha il coraggio di affermarsi fino in fondo e che lascerà, dopo anni di leadership italiana, il nostro Paese nel limbo. Tutto questo conferma che il populismo usa i problemi per raccogliere i voti, ma quando governa entra in difficoltà. E soprattutto conferma che dietro la cultura nazionalista e populista si nasconde sempre la stessa destra di classe e sempre pronta, di fronte alle difficoltà che non è in grado di risolvere, a cercare una scorciatoia nel cercare capri espiatori, sempre tra i più fragili, e delegare tutto solo all’ordine pubblico.
L’opposizione parte da qui. Dalla denuncia delle ricette delle destre. Ma non basta. Noi dobbiamo esistere con una proposta di politiche diverse, l’indicazione di una visione, battaglie popolari.
Perché non è affatto detto che i “delusi” torneranno a guardare alle forze democratiche. In tutto il mondo, la crisi dei populismi, se non c’è un’alternativa chiara e popolare, genera confusione e mina le fondamenta della democrazia stessa, perché esaspera le tensioni sociali, le paure e le solitudini di milioni di individui. Per questo, la fase costituente ha un senso se è davvero aperta e intrecciata ad una grande iniziativa politica nel Paese. Un processo che metta al centro le grandi questioni di quest’epoca con l’obiettivo, ripeto, di creare maggiore giustizia, ridurre le distanze tra chi ha e chi non ha, e offrire alle persone l’ipotesi credibile di un nuovo modello di sviluppo non predatorio, ma a tutela del benessere e del pianeta. Attenzione a non ridurre tutto all’attesa del nuovo “leader”.
Passaggio ovviamente molto importante e da non banalizzare, ma l’unica cosa che il Pd in questi 15 anni ha cambiato sono i leader. Non sono per un congresso reticente e forse il primo vero atto di innovazione sarebbe quello di avere il coraggio, ora, di ammettere questo limite. L’intero gruppo dirigente dovrebbe assumersi la responsabilità di dare ora un’anima all’opposizione e al tempo stesso usare tutti gli spazi possibili a nostra disposizione per cambiare e costruire un modo nuovo di organizzarsi e stare insieme, totalmente diverso da oggi. Una comunità diversa nella quale pluralismo e spirito solidale convivano in un’identità comune più forte e chiara.
Sicuramente, i due tempi – prima discutere e poi combattere – non ci sono. Bisogna subito organizzare nel Paese l’opposizione e muoverci, aprirci davvero per rielaborare cultura e un pensiero politico di “parte”, per liberare tutto il Paese. Dobbiamo smetterla di domandarci chi sostenere al congresso prima ancora delle candidature e soprattutto di sapere cosa esprimono. Dobbiamo essere unitari anche nei confronti della società. È tempo di ascoltare, far contare e organizzare anche tante forze che sono fuori di noi e, con passione, voltare pagina e riprendere insieme un cammino.
Pubblicata su Repubblica il 13 novembre 2022